Intervista all'attore ed insegnante di recitazione

Enrico Bonavera

INTERVISTA A ENRICO BONAVERA


1) Sig. Bonavera, facili Cassandre evocano da sempre la morte del Teatro... come immagina il futuro del Teatro?

"Il ‘Teatro’ è un termine che raccoglie in sé diverse, e talvolta lontane tra loro, esperienze di creazione e di lavoro. Da un lato il ‘futuro’ creativo era già stato scritto dalle avanguardie e dai teatri di ricerca negli anni '60/'70/'80. Ma il futuro reale si è rivelato in realtà il ‘passato’: chi ha proseguito sono stati i teatri stabili e le compagnie private, che solo in minima parte hanno raccolto le suggestioni e le strategie di quelle esperienze. Dunque mi rimane difficile ipotizzare un futuro diverso dall’attuale."

2) Qual è, a Suo avviso, il male principale del Teatro italiano contemporaneo?

"Se di male vogliamo parlare - ma vedo molto fermento, molti giovani attori che si consorziano, cercano testi nuovi, nuove modalità di incontrare il pubblico e questo non mi sembra male, tutt’altro! - è da un lato la autoreferenzialità, la difficoltà di essere davvero nella storia e di non riuscire a capire quale può essere la sua vera funzione nella società attuale. L’altro aspetto negativo è l’ignoranza delle istituzioni, non solo per la distribuzione discutibile delle sovvenzioni, ma per la non tutela della categoria dei teatranti. Le imprese hanno grande difficoltà per via del peso degli oneri fiscali, con conseguente impossibilità di offrire lavoro ai giovani professionisti"

3) Cos'è per Lei il Teatro? Ci dia una Sua personalissima definizione

"La realtà che si crea nell’equidistanza tra attore e spettatore, unica, molteplice, emozionante."

4) Lei vanta un curriculum molto importante nell'ambito della Commedia dell'Arte: quanto essa si può considerare ancora attuale e da dove nasce la Sua fascinazione verso quest'espressione artistica?

"La Commedia dell’Arte come oggi la si propone e si diffonde è un falso. È morta due secoli fa ma è rimasta nell’immaginario collettivo e dei teatranti con il fascino e la speranza di un ‘teatro teatrale’, semplice e immediato. I tentativi di riproporla oggi sono divertenti ma nello stesso tempo inquietanti. La Commedia Improvvisa (o all’ Italiana, questo era il vero nome) non era esclusivamente una farsa con maschere. Oggi inoltre non c’è più quel pubblico; la società è radicalmente cambiata da quella del 5/600, quei temi oggi non hanno lo stesso valore drammatico. È invece interessante lo studio delle tecniche legate all’uso della maschera, e dell’improvvisazione. Da uno studio onesto e non pseudo-filologico può nascere qualcosa di nuovo e originale. Un esempio per tutti lo spettacolo L'Âge d'or del Théâtre du Soleil, con la regia di Ariane Mnouchkine, del 1975. Oltre, ovviamente, il Servitore di due Padroni di Goldoni, del Piccolo Teatro di Milano, con la regia di Giorgio Strehler.
La mia fascinazione viene dall’infanzia, quando i miei genitori mi facevano vedere alla TV De Filippo e Baseggio. Mio nonno e mia madre erano grandi ammiratori delle opere di Carlo Goldoni che conoscevano quasi a memoria. Mio nonno, inoltre scriveva, da amatore, commedie che sono state rappresentate da Govi, da Rosetta Mazzi e presentate anche alle Radio regionali di Genova e Mantova."

5) Qual è stato l'incontro che ha segnato maggiormente la Sua carriera?

"Non posso parlare di un incontro in particolare durante questi anni. Sono stati diversi: Eugenio Barba, Ryszard Cieslak, Carolyn Carlson, Ferruccio Soleri, Giulio Bosetti. Con alcuni ho studiato o lavorato. Altri sono stati il rapimento di uno spettacolo. Vorrei però ricordare il mio primo maestro, il maestro di un giorno. Dall’incontro con lui è iniziato il mio percorso e il mio studio. Una fascinazione potente durata davvero solo poche ore. Si tratta di un attore e mimo argentino, Alfredo Arrigoni, che grazie ad Internet ho recentemente ritrovato. Oggi insegna a Mar del Plata. L’ho incontrato nell’estate del 1975, insieme ad alcuni amici, a Cortona. Ci mostrò il suo training fisico. Era appena tornato dall’India e mi sembrò straordinario. La rivelazione di un guru."

6) Quale consiglio darebbe ad un giovane attore o attrice?

"È così difficile dare consigli. Poi dipende da cosa cerca il giovane attore: se una carriera economicamente interessante o se ha interesse all’arte. Non è facile purtroppo coniugare le due cose. Nel primo caso: un buon agente, un book di livello, faccia tosta e resistenza alla frustrazione. Nel secondo caso cercare di non perdere mai la fiducia e la passione. Il processo è lungo e non bisogna mai sentirsi appagati da sé stessi."

7) Qual è il Suo sogno teatrale nel cassetto?

"Uno dei miei sogni l’ho realizzato: interpretare il ruolo di Arlecchino nel Servitore di due Padroni al Piccolo Teatro di Milano. Avevo altri sogni: uno fra tutti poter lavorare con un piccolo gruppo e creare nostri spettacoli, con una nostra identità e una nostra forza. Ma quello si è esaurito dopo 7 anni, nel 1983. Ancora oggi mi affascinano le avventure dei ‘Teatri fuori dal teatro’. Mi piacerebbe ad esempio, che avesse maggior fortuna l’avventura del mio amico e collega Francesco Origo, con la sua Compagnia Çàjka - Teatridimare, alla cui navigazione teatrale ho avuto la fortuna di partecipare recentemente durante alcune estati. Poi vorrei danzare. Ecco mi piacerebbe, a 61 anni, solo danzare."